Il tempo, le ore, le campane

 

di Marianna Presta 

In tempi molto lontani, da noi, pochi erano quelli che avevano l’orologio in casa e la gente regolava lo scorrere del tempo con il rintocco delle campane della Chiesa Madre che scandiva le ore. All’alba il suono delle campane invitava la gente ad alzarsi per intraprendere i lavori di ogni giorno. Si aprivano le porte, tramestio di passi e voci riempivano il silenzio delle strade, i vicoli si riempivano del profumo avvolgente del caffè che le donne usavano preparare ogni mattina. Nicetta, svelta, portava una tazzina di caldo caffè a Filippo, il cieco del paese, che viveva tranquillo, sicuro che alle sue esigenze quotidiane avrebbe provveduto la solidarietà delle donne del vicinato.
Si aprivano le porte alle cantine e arrivavano i primi avventori che salutavano il nuovo giorno con un bicchiere di vino. Si animava la spiaggia con le attività dei pescatori che ritornavano dal mare dopo una notte di fatica, con le barche vuote o cariche di pesce. Si animava la stazione con i viaggiatori che arrivavano o partivano. Davanti l’ingresso, sulla strada, Raffaele Magorno con la sua balilla attendeva di trasportare nelle diverse località i passeggeri. Poco distante c’era Cacionno con la sua carretta, pronto a trasportare pacchi e valigie.
Si animava il mercato con le voci dei contadini che invitavano la gente a comprare i loro prodotti. Si animavano le stradine di campagna con le voci delle donne: “a Russo”, “a Sabina”, “a Sciammarella”. Con voce squillante invitavano le contadine a comprare il pescato della notte.
Le campane continuavano a scandire le ore, le otto e le strade si riempivano dei ragazzi che si recavano nelle scuole sparse del paese.
E le campane continuavano a scandire le ore. È mezzogiorno, la piazza si svuotava, simultaneamente gli uomini seduti sui gradini delle case si alzavano per ritornare a casa e consumare il pranzo preparato dalle mogli. Pasti semplici ma gustosi. D’inverno a base di legumi, brodi e verdure. D’estate pasta al sugo, melenzane, parmigiane, zucchine, peperoni, polpette di alici e melenzane. Più di rado la carne, a volte il pesce azzurro. Il tutto accompagnato dal vino, talvolta annacquato, e dal pane fresco, nelle famiglie agiate, raffermo in quelle meno abbienti.
Nei vicoli, si spandeva l’intenso odore dei peperoni arrostiti e delle melanzane fritte. Cibi a basso prezzo che le donne acquistavano al mercato spesso all’ultim’ora da contadini frettolosi, intenti a far rientro nelle proprie case e intenzionati a non portare indietro niente. I balconi? Una festa di colori. Appesi al sole “nzerte” di peperoni, di pomodorini rossi, di meloni gialli, verdi e di mele “vernili”. Erano provviste per l’inverno, quando la rigidità del tempo non permetteva la maturazione di questi prodotti.
E le campane continuavano a suonare e a scandire le ore. Con l’imbrunire arrivava l’ora dell’Ave Maria. Le strade si popolavano di donne che, lasciati i lavori domestici, con il capo cinto dal velo nero si recavano in Chiesa per recitare il rosario insieme a Don Giovanni e alle pie donne dell’Azione Cattolica, vere intermediare tra la Chiesa e la comunità. Erano donne sempre presenti nelle celebrazioni religiose: novene, processioni e attente custodi della chiesa. Erano le maestre del catechismo dei ragazzi che frequentavano l’Azione cattolica. Le ricordo ancora: Gilda Ricci, Teresa Stumbo, Michelina Ricci, Bianca De Luna. Nel tempo il gruppo si allargò e comprese Ida Leone, Tina De Lio, Lina Vaccaro, Marisa Vigneri e ancora Flora Pagano, Maria Maniscalco, Elisa De Rosa, Maria Luisa Trifilio.
Il tempo passava, le funzioni religiose finivano, le donne tornavano a casa e lo scandire delle ore ricordava che era giunta l’ora della cena. Nelle case si accendevano lumi e candele. La cena era un pasto frugale: pastina in brodo, un uovo in purgatorio, insalata di lattuga e pomodori. Finita la cena, i pescatori con le loro barche andavano a pesca e tutta la notte la trascorrevano in mare sperando in una buona pesca. Nelle case rimanevano le donne e i ragazzi. Il posto del televisore era della nonna. Si proprio la nonna intratteneva tutti, raccontava “i parmidii”, erano favole e storie di un tempo passato. Erano storie di principi e principesse, di castelli incantati con fate buone e cattive, di maghi e folletti, personaggi straordinari dai poteri magici. La nonna raccontava, la voce giungeva come una nenia che incantava i ragazzi, prima rapiti dalle immagini fantastiche di draghi ed eroici principi, poi sempre più prigionieri di quella voce e vinti dalla stanchezza di addormentarsi profondamente. Così inermi, abbandonati, la mamma li conduceva a letto. La giornata era finita ma le campane continuavano a scandire le ore anche quando la notte avvolgeva tutto e tutti nella sua oscurità.

 

La foto è di Eugenio Magurno 

 

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