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Cedro

COME È ARRIVATO A DIAMANTE IL CEDRO “VARIETÀ LISCIA”

Sulla Riviera dei cedri si coltiva in modo esclusivo una varietà di cedro famosa con il nome di Liscia Diamante. Ma da dove viene questa cultivar? Non è presente in nessuna altra parte del mondo e tutti gli studiosi, a partire da David Karp ( nella foto in basso) che è venuto a studiarla in Calabria, la definiscono una “varietà di origine locale”, una “cultivar autoctona del territorio di Diamante”.

La storia di questa comunità è tutta legata all’agricoltura. Dal sedicesimo secolo fino al diciottesimo tutta la riviera “avea la coltura dei cannameli e la manifattura dello zucchero” e Diamante era un po’ la “capitale” di questa lavorazione, come ci fa sapere Leandro Alberti che andando in giro per la Calabria nel 1526, visita “Diamante, nel cui territorio si cava assai zuccaro”.

Una “vocazione all’agricoltura” che nel 1622 ha determinato la nascita del paese con le “attenzioni” di Don Tiberio Carafa (foto in basso) che nel Casale di Diamante decise di proseguire la politica agricola iniziata dai Sanseverino. Introduce le coltivazioni dell’olivo, del gelso e degli agrumi che erano tra le più redditizie dell’agricoltura calabrese del tempo. Fra gli agrumi anche i cedri che venivano coltivati assieme agli aranci, i limoni e alla canna da zucchero.

Per tutto il ‘700 proseguì la “coltura dei cannameli e la manifattura dello zucchero”. Poi dall’America arrivò zucchero migliore e a minor prezzo e subentrò la coltivazione della vite zibibbo, una varietà che sul posto chiamano adduraca, un’autentica specialità che per tutto l’Ottocento e i primi anni del Novecento ha fatto la ricchezza dei contadini.

Dalla seconda metà del 700 comincia a svilupparsi in modo parallelo la coltivazione del cedro. Dapprima la varietà riccia, conosciuta come cedro riccio o cedressa, successivamente la varietà liscia. Entrambe le varietà sono presenti agli inizi del novecento. Ce ne dà testimonianza il prof. Ferrari che ha condotto i suoi studi nel 1910. Dice che all’epoca venivano coltivate la “varietà riccia e la varietà liscia”. Specifica che la “varietà riccia fu la prima ad essere coltivata nel circondario di Paola”. E aggiunge che si tratta di “una varietà oramai vecchia, destinata a scomparire anche perché il frutto, una volta apprezzatissimo nell’industria della canditura, non è più richiesto ed è considerato come scarto”. Dice ancora che “la varietà liscia, venuta certamente dopo, possiede caratteri più raffinati. Rispetto alla prima ha chioma meno regolare ma più facilmente domabile. Rami più diritti, a corteccia liscia, meno spinescenti. Fogliame più ampio a contorno quasi intero. Fiori più grandi ma meno conformati che facilmente cascolano. Frutto più regolare, più grosso, ad epicarpio quasi liscio, mesocarpio più spesso, endocarpio molto ridotto con pochi semi mal conformati. Il frutto, come quello della varietà riccia, ha stilo persistente come il limone. Aroma più intenso, forse meno delicato di quello della varietà riccia. Produce abbondantemente ed è molto apprezzata nell’industria della canditura”.

Ma come è nata la Liscia Diamante che ha soppiantato la varietà riccia e a partire dal Novecento, si è imposta in tutti i mercati italiani ed esteri?

Il Prof. Ferrari, in accordo con tutti gli studiosi, sostiene che la Citrus medica, “assoggettata per secoli alla tecnica colturale dell’arboricoltore, ha dato origine a molte varietà”. Si può affermare allora che la Liscia Diamante è nata sul posto come evoluzione della varietà riccia? Una tesi verosimile visto che si tratta di due varietà di cedri acidi, visto che le due varietà sono state presenti insieme e per molto tempo nel territorio di Diamante e rilevato che solo successivamente la prima è sparita, sostituita totalmente dalla seconda.

Un’evoluzione che si potrebbe spiegare in molti modi. Forse meglio con la tecnica dell’innesto, quella praticata regolarmente dai contadini di Diamante già alla fine dell’800. Il Prof. Ferrari ci dice che erano autentici maestri in questa tecnica, riproducevano i cedri con innesti su piante di arancio amaro, erano abili a praticare l’innesto con la tecnica ad occhio, comunemente detto a iemma o a pezza. Mentre gli altri contadini della Riviera riproducevano le piante per talea, a Diamante c’erano i vivai di arancio amaro e gli innesti a vivaio che, a differenza degli innesti a dimora, garantiscono una riproduzione uniforme. Una pratica che i coltivatori del posto avevano appresso “da un contadino reggiano, abile innestatore e potatore che fissatosi a Diamante, sulla fine dell’800, iniziò i vivai di arancio amaro e gli innesti a vivaio”.

Un’evoluzione voluta o arrivata per caso? Difficile a sapersi. Comunque una tesi che trova giustificazione nelle circostanze storiche. E ha precisi fondamenti scientifici visto che anche Gallesio, nell’Ottocento, parlava dell’innesto che può dare origine a nuove varietà di cedro. Una tecnica conosciuta già dai Romani e praticata nel Medioevo e nel Rinascimento.

A metà del novecento la varietà riccia non c’è più. Da allora si è incominciato a parlare di Diamante come il “centro colturale e commerciale” della varietà liscia. Oggi le coltivazioni a Diamante sono quasi scomparse. Il paese non è più il “centro commerciale” del cedro ma un’importante centro turistico. Dove una volta c’erano le migliori cedriere, ci sono villini e residenze turistiche.

Dal libro “Il cedro in Calabria” di Enzo Monaco, Editore Rubbettino. Per gentile concessione dell’Autore.

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