La Settimana Santa, tra celebrazioni e riti
A cura di Anna Storelli
Uno dei più caratteristici e coinvolgenti appuntamenti con la tradizione diamantese è sicuramente quello della Settimana Santa. Si tratta di un culto religioso che riflette a pieno l’identità popolare della nostra cittadina. La devozione della Passione di Cristo si perde nella notte dei tempi. Fin dall’inizio del Cristianesimo la Passione di nostro Signore ha avuto un posto centrale. S. Paolo scriveva ai Corinzi ”Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi Crocefisso” . I riti del triduo pasquale sono capaci di trasmettere, attraverso un linguaggio altamente comunicativo e coinvolgente, delle realtà fondamentali al popolo cristiano che sente e vive come suo il dramma della Passione e della Pasqua di Cristo. Per la collettività diamantese questi riti costituiscono un patrimonio culturale e tradizionale vivo ed operante nel tempo. La Settimana Santa inizia con la Domenica delle Palme. Prima della messa del mattino, ci si dirige al Calvario per la benedizione di piccole selve di rami d’olivo e foglie di palme, spesso lavorate in forma di crocette, panierini o intrecci vari. In passato, per i contadini calabresi, questo giorno era un pronostico: “Palma ‘nfusa, gregna gravusa”, (Palma bagnata covoni pesanti). Il parroco benedice gli ulivi, le palme ed i lauri che vengono portati in processione in Chiesa. I ramoscelli di ulivo, portati a casa, vengono posizionati all’ingresso, presso il letto, accanto al crocefisso. Alcuni rami si depongono sulle acque del mare, altri impiantati nei campi come invocazione alla protezione di Dio per un buon pescato e un buon raccolto. Nel folklore popolare hanno anche una funzione apotropaica: preservare l’abitazione e coloro che vi dimorano da eventuali influssi malefici. Il Giovedì Santo in tutte le cattedrali i vescovi, insieme ai sacerdoti della diocesi, celebrano la Messa Crismale, che consiste nella benedizione degli oli e del crisma. Nel pomeriggio, invece, si svolge la commemorazione dell’Ultima Cena di Gesù insieme ai suoi Apostoli, detta “In Coena Domini”, che ricorda l’istituzione dell’Eucarestia e del Sacerdozio. Nella nostra comunità, in passato, per il rito della lavanda dei piedi, erano solo i pescatori a ricoprire il ruolo degli Apostoli. Per questa funzione i proprietari di barche mandavano in rappresentanza uno o due pescatori, di solito i più anziani. Oggi, questa usanza, è andata scemando, solo un numero esiguo di pescatori o figli di “marinari”, che oggi non ci sono più, prendono parte a questo rito. Gli Apostoli, attualmente, sono scelti fra gli esponenti delle diverse categorie sociali: pescatori, contadini, artigiani, professionisti e giovani. Il sacerdote, poi, a fine celebrazione benedice “vinu, panini e tortani”, questi ultimi offerti dai forni del paese. Sempre nella tarda serata del Giovedì Santo, la comunità partecipa, presso il Sepolcro allestito nei giorni precedenti con molta cura ed eleganza dagli addetti a questa preparazione, ad una veglia articolata con preghiere e canti. Il Venerdì Santo, giorno della morte in croce di nostro Signore, si svolge, invece, la tradizionale Processione con la “cordata” dei pescatori, vestiti con tuniche bianche e a piedi scalzi. Il “capocordata”, il cui ruolo si tramanda da padre in figlio, apre il corteo suonando la “toccatocca” (raganella), una cassa armonica di legno dotata di una manovella esterna che girata fa sbattere delle piccole aste interne, producendo un caratteristico stridore che riecheggia in tutte le strade e i vicoli del borgo antico. Il “capocordata” ha i fianchi cinti da una corda detta “a corda di libbanu” a cui sono legati, uno ad uno con nodo ad anello, i pescatori che tengono dietro. La sua testa è coronata di pungenti spine provenienti dalla “cedrera”, cioè pianta del cedro, mentre gli altri portano sul capo quella di “sparacogna”. Anche i bambini partecipano alla cordata secondo un ordine prestabilito. Sfilano i “Misteri”, simboli che rievocano la Passione di Cristo e piccole statue di antica fattura. Seguono, poi, gli “attori” che rappresentano i due ladroni, vestiti con tuniche bianche, e il Cristo, vestito con tunica rossa. Essi procedono in processione molto lentamente come dei veri condannati a morte, a piedi nudi e con la testa coronata da pungenti spine e, a simbolo dell’accettazione della sofferenza, portano sulle spalle pesanti croci di legno. Sfilano a seguire le statue di fattura artistica portate a spalla e a mano secondo il seguente ordine: San Giovanni Evangelista, Gesù Crocifisso, la “baretta” di vetro, Gesù morto e, infine, alta, solenne, maestosa, dalla lunga mantella, vestito e velo nero, fazzoletto bianco con ricamo nero alla punta e le sette spade del dolore conficcate nel petto, l’Addolorata. L’elemento di spicco della processione è indubbiamente l’alternarsi dei cori della “Passione” con le strofe del “Pianto di Maria” e del “Gesù appassionato”. Altro momento cruciale sono le tre cadute del Cristo in un’atmosfera di crescente partecipazione che, inevitabilmente, fa erompere gli astanti in assordanti grida di commozione, spesso accompagnate da spintoni e schiamazzi e da un crescente vocio. Il corteo continua fino in località Calvario, dove il predicatore, dinnanzi alla statua dell’Addolorata che pare pianga sotto il suo tenue velo, tiene un saluto conclusivo. La funzione poi continua in Chiesa Madre con la passione di Cristo, la cosiddetta “Missa strazzata” perché è priva dei momenti essenziali della messa: l’Offertorio e la Consacrazione. Suggestivo è il momento della “chiamata” da parte del predicatore che invoca, con enfasi gesticolata verso il Cristo vilipeso in croce, la Madonna Addolorata, perché venga a vedere di persona come la crudeltà degli uomini ha ridotto suo Figlio. A questa invocazione si spalanca la porta principale della chiesa e la statua della Vergine viene condotta davanti alla Croce, lì il Cristo viene staccato dalla croce e deposto fra le braccia della Madre. Questo è davvero un momento unico e solenne: la folla dei fedeli appare visibilmente commossa, ogni partecipante percepisce come proprio il dramma di Maria e del Cristo. Sospiri e gemiti invadono la chiesa, dinnanzi a questa scena di alta drammaticità il volto di ogni diamantese è rigato da una lacrima e anche sul volto dell’Addolorata pare delinearsi una smorfia di dolore. La rappresentazione di quella Madre che sorregge tra le braccia il Figlio intenerisce il popolo cristiano ed a Lei, Madre dei dolori, viene rivolto il canto tradizionale detto ”Il Pianto di Maria”. La Settimana Santa ha il suo epilogo nella Veglia Pasquale che si celebra il Sabato Santo in tarda serata ed è considerata dalla tradizione cristiana “ la Veglia di tutte le Veglie”, perché è celebrata in onore del Signore che, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal Sepolcro nella Domenica di Pasqua. La Veglia è caratterizzata da azioni simboliche e riti, come la benedizione dell’acqua e del fuoco, atti ad impartire una vera conoscenza mistagogica. Gesti e parole in questa notte svelano l’attesa escatologica della venuta di nostro Signore.
E’ la Pasqua del Signore. Alleluia! Alleluia!
Buona Pasqua di Resurrezione a tutti!